LE NOSTRE STORIE
“Mukama abahe obusinge n’okushemererwa”
“Mukama abahe obusinge n’okushemererwa”. tutto chiaro, no?
La scritta sovrasta l’ingresso del convento francescano di Rushooka e, per i due-tre che non capiscono il runyankole, significa “possa Dio darvi pace e felicità”.
Siamo a Rushooka, dove l’Uganda sta già diventando Ruanda. Chi vuole fare un salto, prende un aereo per Kampala, poi guidi per 480km verso sud-ovest, sapendo che un auto con solide sospensioni non è un investimento da trascurare. Arriverà a un villaggio famoso per le coltivazioni di cipolle, ma no, non è quello il posto. Quello è Rwahi, un paesino sulla strada principale. Bisogna girare a desta e guidare per altri quattro km per le colline, fino ad arrivare a 1700m, dove le cipolle lasciano il posto alle banane. Quella è Rushooka.
Il convento si riconosce, è l’edificio quadrato con un piccolo cortile all’interno. Al centro del chiostro, quindi al centro del convento, c’è una cappella. I frati dicono che lì vive il più importante tra i fratelli - ovviamente Gesù - e la frase ha una sua poesia. Gli abitanti meno importanti sono frate Agapitus, il sacerdote della parrocchia, frate Francis, cappellano delle scuole, Giorgio e Marta, una coppia di missionari laici che hanno lasciato Varese per costruire a Rushooka il primo centro per bambini disabili dell’intera Uganda. Quando li trovate -non dovrebbe essere difficile- per favore non reagite come Renet. Renet è una bambina di cinque anni, arrivata da poco al centro dopo essere stata costretta a vivere quasi esclusivamente a casa da una tetraparesi. Quando è entrata era abbastanza eccitata dalla novità però...appena visto due bianchi che volevano accoglierla a braccia aperte, ha cominciato a gridare nella sua lingua: “L’uomo bianco mi vuole mangiare, mi vuole mangiare!”. Ci sono voluti due mesi per fare amicizia ma oggi dovrebbe aver capito che la carne di bambino è un pò indigesta.
Il matoke è molto meglio. Il matoke, ovviamente a base di banana, è il cibo tipico di Rushooka, la base di ogni dieta del sud Uganda. Il proverbio locale tradotto in inglese conferma: “No matoke no life”. Il grande segreto di Rushooka però è l’acqua. Intanto, quella che cade dal cielo. La stagione delle piogge arriva due volte ogni anno, per il resto si vive in una specie d’estate perenne, con campi fioriti, caldo sopportabile di giorno e sarate fresche. Poi, l’acqua che arriva dai container grazie a un raro sistema idrico. La grande invenzione è del 5 Settembre 2001, il giorno in cui l’accesso all’acqua ha cambiato le vite di tutti. I frati francescani erano arrivati solo sei anni prima, spinti dalla voglia di aiutare gli ultimi. La parrocchia di Rushooka era la più povera, la più trascurata e remota dalla diocesi. Un cattolico, per una messa o una confessione, doveva fare decine di chilometri a piedi fino alla chiesa centrale, viaggio che non dava una gran mano a rafforzare la fede. Tra gli abitanti, solo tre ascoltavano la radio, due sapevano leggere un giornale e praticamente nessuno conosceva l’inglese. Venti anni dopo non si sfoglia il New York Times e non si parla come nelle lezioni di letteratura a Cambrige, ma Rushooka di sicuro ha fatto progressi.
L’educazione è uno dei problemi del villaggio, ma forse non il più immediato. L’alcol viene decisamente prima. I frati calcolano che più del 50% degli uomini della zona ha problemi di dipendenza: la giornata di molti inizia con il tonto, una birra locale a base della solita banana, e finisce...con il tonto. In mezzo, per variare, anche un po' di waragi, la vodka locale. L’alcol causa violenze sulle donne e bambini -spesso otto, dieci, anche undici per famiglia perché in villaggio ci si annoia un po'...- e l’HIV non aiuta. La povertà fa il resto perché la terra non è semplice da coltivare, la corruzione è uno dei mali dell’intera Uganda e il lavoro manca per molto. Per tradizione gli uomini ritengono siano le donne a doversi occupare delle coltivazioni e per i frati non è semplice far capire che una divisione dei compiti sarebbe gradita.
I missionari francescani, tra questa altre difficoltà, gestiscono una parrocchia organizzata in sei centri principali e 21 piccoli villaggi. Il territorio è ovviamente molto esteso e le strade non asfaltate, così passano di villaggio in villaggio per dire messa e seguire le scuole costruite vicino alle chiese. L’elicottero ultimo modello non è in dotazione, quindi si va in auto e i tempi diventano inevitabilmente africani, cioè tra lunghi e molto lunghi. Un piccolo centro riceve un paio di visite all’anno mentre a Rushooka funziona una scuola primaria per 1200 bambini e una secondaria da 600 alunni. Inoltre, le suore della Congregazione delle Figlie della Divina Carità hanno sviluppato un centro dove una ventina di ragazze imparano i principali lavori manuali, un po' d’inglese e qualche regola sanitaria. Costruire qualcosa per il futuro però è sempre piuttosto complicato. Un progetto, quando passa in mani africane, rischia sempre di essere abbandonato. Fondamentalmente è una questione di cultura di abitudini. Difficile che un africano abbia il senso della pianificazione, difficile che un africano accetti di pagare qualcosa per avere acqua, elettricità e altri servizi comuni. Tra progressi e difficoltà però un comunità si è creata e si sta sviluppando anche nel nuovo centro per bambini disabili che Giorgio e Marta stanno costruendo con Ewe Mama, la onlus fondata assieme ad alcuni amici in Italia.
Luca Bianchin